Test di paternità, dott. Peluso: “Esame accurato ed attendibile”

Abbiamo approfondito l’argomento con il dott, Pasquale Peluso, responsabile del Settore Biologia Molecolare del Centro Polispecialistico “Futura Diagnostica” di Avellino.

Test di paternità: che cos’è e a cosa serve? 

“Ogni individuo presenta nel proprio DNA uno specifico codice che definisce la sua impronta genetica. Infatti, ad eccezione di gemelli monozigoti, che risultano perfettamente uguali, il profilo genetico di ogni individuo è praticamente unico, come le impronte digitali; esso si basa sul principio che ogni individuo eredita il proprio patrimonio genetico dai genitori, in misura del 50% ciascuno. Pertanto, il presunto padre, dovrà possedere la metà del profilo genetico del figlio per essere considerato padre biologico”.

Come si effettua il test di paternità?

“La prima fase consiste nell’estrazione del DNA da campioni biologici (prelievo da sangue periferico, tampone buccale, ecc) e nella successiva analisi degli alleli materni e paterni al fine di determinare i profili genetici degli individui da confrontare. La determinazione del profilo genetico di un individuo comporta la genotipizzazione di almeno 15 regioni del DNA (loci) variabili da individuo ad individuo ed indicate come regioni Microsatelliti o STR. Successivamente, sfruttando le tecniche e i protocolli della biologia molecolare, viene effettuata una PCR (amplificazione genica) mediante l’impiego di un sequenziatore automatico a tecnologia fluorescente. Dall’esame di queste 15 regioni di DNA, si ottiene il profilo genetico che viene successivamente confrontato con attribuzione o meno della paternità”.

Quanto è affidabile questo test?

“Il test di paternità basato sull’analisi del DNA è attualmente la metodologia più accurata possibile. L’esame di almeno 15 regioni microsatelliti del DNA, generalmente consente di raggiungere una probabilità di paternità superiore al 99,99%. Questo valore probabilistico, derivante da un’analisi statistica, non potrà mai raggiungere il valore del 100% matematico; d’altronde, la giurisprudenza italiana prevede che la paternità è da considerarsi come ‘praticamente certa’ quando la probabilità di paternità supera il valore del 99,72%”.

Stando alle statistiche, il test di paternità è richiesto sempre più di frequente…

“Sfruttando la facilità dei prelievi biologici (tampone buccale), la loro varietà e la assoluta affidabilità del test, esso oggi viene utilizzato per molte altre tipologie di esami:

  • per determinare la maternità biologica nel caso in cui si voglia verificare la maternità biologica, con disponibilità di figlio e madre presunta;
  • per determinare la paternità biologica con la disponibilità di solo figlio e padre presunto;
  • per definire, in caso di fecondazione assistita, se sono stati utilizzati i corretti donatori di cellule germinali femminili;
  • per determinare la consanguineità, nel caso in cui si voglia l’identificazione di relazioni familiari; infatti il test è in grado di indicare con sicurezza se due persone sono correlate biologicamente e pertanto può essere utile nella determinazione di alberi genealogici;
  • per stabilire se due o più gemelli sono identici (monozigoti) oppure no (dizigoti).

I test di paternità possono essere effettuati anche in fase prenatale. Ce lo conferma?

“L’analisi del DNA per il test di paternità può essere effettuato anche prima della nascita del bambino. In questo caso, si possono utilizzare due distinte procedure di prelievo:

  • prelievo di villi coriali (PCV o villocentesi): esso si effettua normalmente intorno alla 10-13 settimana di gestazione e comporta il prelievo di cellule placentari. Contestualmente viene effettuato un prelievo di sangue/tampone buccale della madre e del padre presunto;
  • prelievo di cellule amniotiche (PCA o amniocentesi): esso si effettua generalmente dalla 15esima alla 24esima settimana di gestazione e prevede per il prelievo di cellule fetali dal liquido amniotico nonchè il sangue/tampone buccale della madre e del presunto padre.

Cosa può dirmi riguardo l’aspetto legale del test di paternità? 

“E’ da sottolineare che il test di paternità può o meno avere valenza legale. Il test con valenza legale prevede l’identificazione dei soggetti che vi si sottopongono nonchè l’acquisizione delle necessarie autorizzazioni che, nel caso di minorenni, deve essere rilasciata dagli esercenti la potestà genitoriale. Tale test potrà essere utilizzato per fini processuali ed azioni di riconoscimento/disconoscimento di paternità; il test informativo, a parità del risultato, fornirà delle informazioni circa la compatibilità/incompatibilità genetica tra i campioni biologici in esame. Il risultato prodotto avrà solo valore informativo e non potrà avere valenza giuridica non essendo stata accertata l’identità dei soggetti nè acquisite le necessarie autorizzazioni”.

Dottore, parliamo di tempistiche… quanti giorni bisogna aspettare per conoscere l’esito del test?

“Normalmente i risultati vengono elaborati in 7/10 giorni lavorativi dalla data di disponibilità dei prelievi”.

Concludiamo con il prezzo…

“Alla presenza della madre, del padre e del figlio, il prezzo dell’esame, presso il nostro centro, è di 1.350,00 euro”.

Fonte: irpiniatimes.it

Dott.ssa Policicchio: “Amniocentesi fondamentale per gravidanze a rischio anomalie cromosomiche”

la dott.ssa Margherita Policicchio, responsabile settore di citogenetica del centro Polispecialistico “Futura Diagnostica” di Avellino, ci ha parlato di “Amniocentesi”.

Dottoressa, cos’è l’amniocentesi, quando farla e quali sono i rischi?

“L’amniocentesi consiste nel prelievo per via transaddominale, sotto guida ecografica, di una piccola quantità di liquido amniotico dalla cavità uterina. In genere il prelievo di liquido amniotico, finalizzato alla diagnosi citogenetica prenatale, viene effettuato durante il II trimestre di gravidanza, intorno alla 17° settimana, quando la cavità amniotica ha raggiunto dimensioni tali da non costituire rischi per il feto. Tuttavia c’è da dire che, negli ultimi anni, la sempre maggiore richiesta di avere risposte precoci ha portato ad eseguire il prelievo anche prima, intorno alla 15°settimana. Riguardo ai rischi, sebbene l’amniocentesi sia una tecnica invasiva di diagnosi prenatale, bisogna dire che se praticata da personale esperto e ben attrezzato presenta un rischio abortivo molto basso, che dati di letteratura recenti stimano intorno allo 0,1%”.

Quali sono le indicazioni per eseguire l’amniocentesi?

“La diagnosi prenatale, mediante amniocentesi, si effettua nelle gravidanze che presentano un aumentato rischio di anomalie cromosomiche nel feto rispetto alla popolazione generale. Le indicazioni all’esame sono le seguenti: età materna >35 anni; precedente figlio affetto da una patologia cromosomica; genitore portatore di un riarrangiamento cromosomico strutturale bilanciato o di un cromosoma marker soprannumerario; genitore portatore di aneuploidie dei cromosomi sessuali compatibili con la fertilità o di un mosaicismo cellulare; anomalie fetali riscontrate ecograficamente; indagini biochimiche su siero materno indicative di un aumentato rischio di patologia cromosomica fetale. L’ amniocentesi va, inoltre, sempre eseguita per confermare l’esito positivo di un test di screening molecolare prenatale non invasivo quale la Nipt”.

Quali informazioni si possono avere dall’amniocentesi?

“La coltura delle cellule presenti nel liquido amniotico permette di analizzare il cariotipo fetale. In particolare consente la diagnosi di patologie dovute ad anomalie cromosomiche, siano esse numeriche (aneuploidie) che strutturali. Un esempio di aneuploidia può essere la trisomia 21, più comunemente conosciuta come sindrome di Down. Tra le anomalie strutturali che è possibile diagnosticare con l’amniocentesi ritroviamo: delezioni o duplicazioni abbastanza grandi, dell’ordine di circa 5Mb, che è il limite del potere di risoluzione della citogenetica classica; traslocazioni reciproche siano esse bilanciate che sbilanciate; inversioni cromosomiche; inoltre è possibile individuare la presenza di piccoli cromosomi marker e linee cellulari presenti a mosaico. Il limite dell’ amniocentesi è che non può evidenziare microdelezioni e microduplicazioni associate a patologie note quali ad esempio la Sindrome di Di George,  tanto per citare una delle più frequenti. Ancora con la sola amniocentesi non si possono identificare patologie genetiche dovute a mutazioni puntiformi quali, ad esempio, la fibrosi cistica o le talassemie. Per questo tipo di patologie la diagnosi è molecolare. Mi preme ricordare che nel nostro centro è possibile effettuare anche l’ Array-CGH (indagine di secondo livello) che diagnostica oltre 100 patologie genetiche da microdelezione e microduplicazione, che non possono essere identificate con il solo studio del cariotipo, e` tuttavia fondamentale sottolineare come solo attraverso l`indagine di citogenetica classica si possono diagnosticare riarrangiamenti strutturali bilanciati e mosaicismi cellulari a bassa percentuale”. 

Ci sono anche altri esami che si possono eseguire sul liquido amniotico?

“Sicuramente il liquido amniotico è un’ottima fonte di cellule staminali, multipotenti e capaci di differenziarsi in vari tessuti. Tali cellule possono essere prelevate e conservate nelle cosiddette banche di cellule staminali per un periodo di 20 anni. Sul liquido amniotico vengono anche eseguiti alcuni test biochimici come il dosaggio dell’alfafetoproteina (AFP) normalmente prodotta dal feto. Se l’AFP è presente in quantità superiori alla norma può essere indice di un’anomalia di sviluppo del tubo neurale(anencefalia, spina bifida, encefalocele, mielomeningocele), al contrario valori di AFP bassi possono riscontrarsi in feti con trisomia 21. Altre indagini sul liquido amniotico permettono di stabilire se il feto ha contratto alcune malattie infettive come il citomegalovirus, la toxoplasmosi o la rosolia”.

L’amniocentesi è dolorosa?

“Normalmente le pazienti che si sottopongono all’amniocentesi non provano dolore, ma solo un leggero fastidio, come quello che si percepisce con una normale puntura, anche perchè il calibro dell’ago è piuttosto sottile. L’esame dura, in genere, pochi minuti e non richiede anestesie, in ogni caso è opportuno rivolgersi ad uno specialista di comprovata esperienza. L’unica precauzione per la paziente è quella di non sollevare pesi e di non effettuare sforzi nei 2/3 giorni successivi all’amniocentesi”.

Dopo quanto tempo è possibile avere un risultato?

“In genere i tempi di risposta vanno dai 14 ai 21 giorni, questo perché le cellule fetali presenti nel liquido amniotico necessitano di una coltura a “lungo termine”. Ci sono casi in cui i tempi di refertazione possono allungarsi, come ad esempio con i prelievi ematici. Nel nostro centro cerchiamo sempre di essere rapidi, soprattutto per i casi più complessi che richiedono una consulenza genetica clinica. Sul liquido amniotico è possibile eseguire anche la QF-PCR (Quantitative Fluorescent PCR), un esame di biologia molecolare che consente alla paziente di avere un risultato rapido, entro 24-48 ore dal prelievo, relativo alle trisomie dei cromosomi 13, 18 e 21 ed alle aneuploidie dei cromosomi sessuali. Tuttavia anche la QF-PCR, per quanto utile a rassicurare rapidamente la paziente sulle principali trisomie analizzate e a svelare il sesso del nascituro non è in grado di identificare né riarrangiamenti strutturali né mosaicismi cellulari”.

Quanto costa fare un’amniocentesi presso il Centro Futura Diagnostica di Avellino? 

“Nel nostro centro l’amniocentesi ha un costo privato di 130euro. Il Servizio Sanitario Nazionale prevede l’amniocentesi anche con impegnativa medica: per le gravidanze normali occorre la prescrizione medica con un ticket da 56,15; per le gravidanze a rischio e per le donne con un’età superiore a 35 anni, il ticket è di euro 5,00“.

Fonte: irpiniatimes.it

SPECIALE DIABETE, dott.ssa Iandoli: “Importante combattere obesità e sedentarietà”

Oggi abbiamo affrontato il tema “Diabete” con la dottoressa Mariarosaria Iandoli del Centro Polispecialistico “Futura Diagnostica” di Avellino. Il diabete è una patologia in forte crescita. Non sono tra gli anziani. Approfondiamo l’argomento, nell’intervista che segue…

Dottoressa, spieghiamo cos’è il diabete mellito?

“Il diabete mellito è una malattia cronica caratterizzata da valori elevati di glucosio (zucchero) nel sangue. Il nome fu coniato dagli antichi greci per la presenza di “urine dolci”, quindi l’organismo non riesce ad utilizzare il glucosio, si accumula nel sangue e successivamente viene espulso con le urine. Ma perchè succede questo? Quali sono le cause del diabete? L’insulina è l’ormone (messaggero chimico, colui che mette in moto delle reazioni) che consente al nostro corpo di utilizzare il glucosio come fonte energetica per far lavorare le nostre cellule. Quando il pancreas produce poca insulina, oppure le cellule del nostro corpo non riconoscono la sua presenza, il livello del glucosio nel nostro sangue si alza determinando iperglicemia con valori fino a 126mg/dl e diabete mellito per valori superiori. A tale proposito è importante ricordare che i valori normali di glucosio nel sangue sono compresi tra 70 e 110mg/dl”.

C’è familiarità tra le cause del diabete?

“Prima di parlare di cause e familiarità del diabete è importante differenziare il diabete. Esiste, infatti, un diabete mellito di tipo 1, un diabete mellito di tipo 2 e un diabete gestazionale. Il diabete mellito di tipo 1 è una forma di diabete che un tempo veniva definita giovanile, colpisce infatti bambini o adolescenti spesso dopo un episodio febbrile ed è una “malattia autoimmune “cioè ci sono nel pancreas, organo che come abbiamo detto produce insulina, le cellule beta a ciò deputate che però in questi pazienti vengono distrutte perche’ non riconosciute come proprie. Da qui il termine autoimmune. In ultima analisi in questi pazienti viene prodotta poco o niente insulina e per questo essi saranno costretti alla somministrazione di dosi di insulina a vita che consenta loro di utilizzare il glucosio come fonte energetica per le nostre cellule e impedirne eccessi nel sangue. Il diabete mellito di tipo1 e’ spesso associato a celiachia e tiroidite, presenta una predisposizione genetica ma non ereditaria. Il diabete mellito di tipo 2 è una forma di diabete che colpisce persone adulte, spesso in età matura, ed è caratterizzata sia da una riduzione della produzione di insulina che da quella che viene definita insulinoresistenza cioè l’incapacità ’delle cellule del nostro organismo di riconosce l’insulina. Questa forma di diabete presenta una predisposizione ereditaria ed è spesso influenzata da fattori ambientali quali obesità, vita sedentaria, alimentazione scorretta e ipercolesteolemia per esempio. I pazienti affetti da questa forma di diabete possono, pur avendo una malattia cronica, contenere i sintomi anche con un corretto stile di vita. Nella cura potrà essere necessaria – a seconda dei casi – terapia insulinica o ipoglicemizzanti orali (compresse) in base alla gravita’della patologia. Infine, il diabete gestazionalecolpisce il 10% delle donne in gravidanza e si manifesta con aumento dei valori della glicemia limitatamente al periodo della gravidanza, tuttavia le donne con diabete gestazionale tendono più frequentemente a sviluppare diabete mellito di tipo 2 in età avanzata. E’ importante diagnosticare tale patologia perchè gli elevati valori ematici di glucosio potrebbero creare danni al feto oltre che alla madre. Questa forma di diabete si cura di solito con un corretto regime alimentare ed eventualmente, nei casi più gravi, con insulina”.

Quali sono i sintomi del diabete mellito?

I sintomi del diabete mellito si accomunano in tutte le forme mostrandosi però in maniera più marcata e improvvisa nella forma giovanile, mentre nel diabete di tipo 2 sono spesso silenti per anni. Quali sono dunque i sintomi:

  • aumento della sete;
  • aumento dell’appetito;
  • aumento della minzione (aumentata quantità e frequenza di urine);
  • affaticamento e sonnolenza;
  • perdita di peso immotivata”.

Come avviene la diagnosi ?

“I sintomi di cui abbiamo parlato sopra sono i campanelli dall’allarme per fare diagnosi di diabete mellito. L’esame fondamentale per diagnosticare il diabete è un prelievo venoso:

  • glicemia che ci dice il valore dello zucchero nel sangue a digiuno e, come abbiamo già detto, i valori normali sono  compresi tra 70e 110mg/dl  mentre si parla di iperglicemia per valori fino a 126mg/dl e di diabete mellito quando si supera questa soglia;
  • emoglobina glicosilata (HbA1c) è un esame che ci indica la concentrazione media di glucosio nel sangue negli ultimi tre mesi, esame utile questo sia nell’esordio ma soprattutto nel monitoraggio del diabete.

Sono considerati normali valori fino a 5,5% HbA1c , si può parlare di prediabete con valori fino a 6,5% HbA1c e di diabete oltre tali valori. Ovviamente un soggetto diabetico che riesce a contenere la glicemia avrà valori inferiori o di poco superiori a 6,5% , diversamente si parla di diabete scompensato per valori superiori a 7%HbA1c.

  • curva da carico glicemica è un esame che consente una più definita diagnosi del diabete in quanto va a considerare la tolleranza del soggetto alla somministrazione di glucosio per via orale.

L’esame consiste nell’effettuare un primo prelievo di sangue a digiuno e valutare il valore della glicemia per poi somministrare una dose variabile (50/75gr) di zucchero sciolto in acqua e quindi ripetere il prelievo a piu’ tempi (30-60-90-120minuti) valutando con la misurazione delle diverse glicemie come il paziente risponde al carico di glucosio. Diciamo che e’ importante dopo le due ore che i valori siano compresi tra 70 e 140mg/dl di glucosio, se tali valori raggiungono i 200mg/dl si parla di diabete conclamato. Questo test viene oggi sempre più spesso utilizzato come esame di screening per individuare il diabete gestazionale”. 

Anche per il diabete si parla di prevenzione? 

“Il diabete mellito è una malattia cronica, quindi dalla quale non si guarisce, e che nel tempo, se non compensata, può dare origine a numerose complicanze. Per tali ragioni è importante, laddove e possibile, fare prevenzione. A tale proposito dobbiamo nuovamente distinguere le due forme di diabete, infatti nel diabete mellito di tipo 1 più che prevenire la malattia possiamo cercare di prevenire le complicanze in quanto da malattia autoimmune ad oggi non conosciamo modi per prevenirla. Diversamente nel diabete mellito di tipo2 e in quello gestazionale che tra le cause hanno, oltre a predisposizione genetica fattori ambientali, possiamo parlare di prevenzione e di contenimento della malattia con una serie di regole di vita quali:

  • combattere l’obesità;
  • controllare il colesterolo;
  • osservare una diete bilanciata ricca di frutta e verdura e povera di grassi;
  • fare esercizio fisico;
  • effettuare controlli periodici;
  • monitorare i valori della glicemia con il glucometro.

Quali sono le complicanze del diabete mellito?

Il diabete mellito, purtroppo, è una malattia che se curata male o non diagnosticata in tempo, può determinare una serie di complicanze a volte anche invalidanti per i pazienti quindi è importante fare diagnosi di diabete e monitorare con controlli periodici chi ne è affetto. Le complicanze del diabete si dividono in acute e croniche. Le complicanze acute interessano prevalentemente il diabete mellito di tipo 1 e sono caratterizzate dalla mancanza di insulina. Questo deficit consente al nostro organismo di utilizzare il glucosio come carburante per le nostre cellule, per cui per compensare il nostro organismo utilizza i lipidi ma questa operazione determina la formazione di corpi chetonici che vengono eliminati con le urine. Se questi sono troppi, e l’eliminazione urinaria non è sufficiente, si accumulano nel nostro organismo determinando cheto acidosi diabetica che può iniziare con vomito, nausea, dolori addominali fino al coma chetoacidosico. Complicanze croniche comuni invece alle due forme di diabete riguardano i reni, l’apparato cardiovascolare, gli occhi e il sistema nervoso. I reni ,perchè il rene col tempo può non riuscire più bene a filtrare le scorie metaboliche, ricordiamo a tale proposito che molti pazienti che arrivano alla dialisi vengono da una nefropatia diabetica. L’apparato cardiovascolare perchè i soggetti diabetici vanno più facilmente incontro ad accidenti vascolari (ictus , infarto del miocardio, vascolopatia cerebrale). Gli occhi, perchè è possibile andare incontro alla retinopatia diabetica che può portare a grave compromissione della capacità visiva. Il sistema nervoso, per la comparsa di neuropatia diabetica caratterizzata da formicolii alle estremità, riduzione della sensibilità fino alla comparsa di ulcerazioni al piede che danno origine a quello che viene definito “piede diabetico”. Il monitoraggio costante della malattia diabetica può ridurre tutte queste complicanze”. 

Quali sono gli esami utili per monitorare il diabete mellito?

“Per il monitoraggio del diabete ci sono, dunque, una serie di controlli che è possibile effettuare. Quelli più semplici da eseguire possono essere praticati in un laboratorio di analisi come la “Futura Diagnostica” e consistono in prelievi venosi ed esame delle urine con la valutazione della glicemia nel sangue e nell’urine, dell’emoglobina glicosilata, della curva da carico glicemica e della glicemia frazionata (costo 1,70). La valutazione della funzionalità renale con azotemia creatinina su sangue e microalbuminuria, proteinuria e clearance della creatinina sulle urine delle 24 ore; la valutazione dell’assetto lipidico nel sangue con colesterolo totale, hdl ,ldl, e trigliceridi. A tutto questo ovviamente indirizzerà lo specialista che indicherà anche altri controlli periodici quali elettrocardiogramma, elettromiografia, doppler alle carotidi e agli arti inferiori nonchè controllo del fondo oculare”.

Fonte: irpiniatimes

Test sangue occulto nelle feci, dott.ssa Palatucci: “Riduzione della mortalità”

Intervista alla dott.ssa Carmela Palatucci, direttrice del Centro Polispecialistico “Futura Diagnostica” di Avellino con la quale abbia affrontato il tema “Sangue occulto nelle feci”.

Sangue occulto nelle feci non vuol dire necessariamente tumore al colon-retto….

“La proctoraggia (sanguinamento rettale) consiste nella perdita di gocce di sangue di colore rosso vivo dal retto (ano). Il paziente si accorge del sangue sulle feci sulla carta igienica o nel wc. Puo’ esserci, pero’, nelle feci presenza di tracce microscopiche, non visibili ad occhio nudo, ma evidenziabili con specifiche analisi di laboratorio. E’ il caso della ricerca del sangue occulto nelle feci (SOF), che rappresenta un importante test di screening per il tumore del colon-retto, consigliabile di eseguirlo con cadenza annuale a partire dai 45/50 anni di eta’. Come tutte le metodiche di screening, è bene sottolineare che la ricerca di sangue occulto nelle feci non ha significato diagnostico, ma identifica semplicemente le persone a rischio per questa patologia e per i polipi intestinali, che si possono asportare per impedirne l’eventuale trasformazione in tumore maligno. Pertanto, se fossero rinvenute tracce di sangue nelle feci di un paziente, questo deve essere indirizzato verso accertamenti diagnostici specifici, come la colonscopia. Non si può, infatti, dimenticare la lunga lista di possibili condizioni che rendono positiva la ricerca di sangue occulto nelle feci: ulcera duodenale e/o gastrica, varici esofagee, colite ulcerosa, morbo di Crohn, diverticolite, fistole anali, contaminazione del campione con sangue mestruale o urinario, emorroidi,ragadi anali, dieta non adeguata nei giorni che precedono il test. Pur essendo priva di significato diagnostico, la ricerca del sangue occulto nelle feci, rimane un’indagine particolarmente preziosa per una diagnosi precoce, che a sua volta si traduce in una prognosi sensibilmente migliore, ossia con maggiori possibiltà di sopravvivenza. Infatti, secondo i risultati di uno dei più importanti studi epidemiologici, la ricerca del sangue occulto nelle feci ha mostrato, rispetto agli individui del gruppo di controllo, una riduzione della mortalità pari al 33% quando il test veniva eseguito annualmente e del 21% , se eseguito ogni due anni. L’esame va eseguito anche in assenza di disturbi, poichè i tumori del colon-retto, spesso non danno alcuna sintomatologia particolare per anni. Inoltre, se è vero che un risultato positivo non significa obbligatoriamente presenza di tumore al colon, è possibile anche la situazione opposta, poichè il processo patologico può indurre sanguinamenti  intermittenti. Pertanto, anche se recentemente l’esame ha dato esito negativo, è sempre consigliabile rivolgersi al proprio medico in presenza dei seguenti disturbi: modificazioni delle proprie abitudini intestinali, presenza di sangue visibile ad occhio nudo nelle feci, sensazione di ingombro rettale persistente dopo evacuazione”.

Quando sottoporsi all’esame del “ Sangue Occulto”?

“I motivi che possono giustificare la presenza di sangue nelle feci sono vari e vanno da malattie infiammatorie a tumori del colon. Il Ministero della Salute consiglia alle persone che rientrano nella fascia di età tra i 50 e i 69 anni di sottoporsi all’esame con una cadenza biennale e viene richiesto come indagine di screening per la diagnosi precoce di cancro del colon, nell’ambito dei programmi di prevenzione ontologicamente attivi in Italia. Nonostante il sangue nelle feci possa essere causato dai polipi intestinali e o dal tumore del colon-retto, diverse condizioni molto piu’ comuni e meno preoccupanti determinano la stessa causa , come le emorroidi e le ragadi anali. Sintomi sospetti che possono indicare la presenza di un tumore del colon sono, oltre al sanguinamento, una non giustificabile perdita di peso, una debolezza fisica anomale, l’emissione di feci nastriformi o alterazione dell’alvo (stitichezza, diarrea o alternanza delle due condizioni). Purtroppo pero’tali sintomi tendono a comparire solo quando il tumore è già in fase avanzata; ecco quindi l’importanza di sottoporsi a periodici esami di screening a partire dai 50 anni di eta’, o prima per i soggetti predisposti. Il sanguinamento intestinale nei tratti iniziali dell’intestino si rende evidente con la presenza di feci scure (perché il sangue è stato digerito).Anche in questo caso, diverse sono le cause che possono determinare alterazioni cromatiche: integratori di ferro, assunzione di alimenti che ne sono ricchi (spinaci, cacao). Un elevato consumo di barbabietole e liquirizia può  invece conferire una colorazione rossastra alle feci”.

La colonscopia virtuale puo’ sostituire quella tradizionale?

Non è raro che gli  esame del sangue occulto diano esito positivo, ma non sempre è il caso di preoccuparsi. Spesso, infatti, la presenza di sangue occulto è dovuta a lesioni legate alla stitichezza o a emorroidi. Se invece si sospetta la presenza di un polipo, sarà necessario sottoporsi ad una colonscopia, esame invasivo che consiste nell’inserire nell’ano un tubo flessibile fornito all’estremità di una telecamera. Per ridurre i fastidi al paziente la colonscopia è diventata anche virtuale. Nata nel 1994, la colonscopia virtuale permette di studiare le pareti interne del colon in maniera non invasiva., risparmiando al paziente i fastidi legati alla procedura tradizionale e non necessita utilizzo di sedativi ed antidolorifici. La durata dell’esame è inferiore e le dimissioni immediate, con possibilità di guidare e riprendere al piu’ presto le normali attività quotidiane. La colonscopia virtuale sfrutta una tecnica chiamata TC spirale multistrato ed un software, in costante aggiornamento, capace di ricostruire sullo schermo le pareti del colon. Cio’ è reso possibile dall’uso di radiazioni ionizzanti, che vengono fatte passare attraverso il corpo del paziente; all’estremità opposta un opportuno ricevitore è in grado di registrare tali radiazioni, che escono dal paziente con gradi di attenuazione diversi in base ai tessuti attraversati (piu’ sono densi e maggiore è l’attenuazione).Convertendo questi dati in un segnale elettrico, è possibile ricostruire, con l’ausilio di un apposito programma, l’anatomia dei tessuti e degli organi irradiati. Il radiologo potrà quindi osservare l’interno del colon “ virtualmente”, come se stesse effettuando una colonscopia convenzionale.In teoria, inoltre, è possibile esaminare anche gli altri organi addominali, individuando eventuali alterazioni patologiche extracoliche. La scansione ha una durata di pochi secondi e la quantità di radiazioni ionizzanti somministrate è minima e notevolmente inferiore ad un esame TC dell’addome standard. Un altro vantaggio della colonscopia virtuale rispetto alla tradizionale consiste nella capacità di visualizzare in maniera completa tutto il colon, che per la particolare conformazione o per la presenza di stenosi e diverticoli puo’ non rendere possibile l’esame di alcuni tratti (cieco-ascendente) con la tradizionale colonscopia. La metodica virtuale trova quindi un ulteriore indicazione in tutti quei casi di colonscopia tradizionale incompleta, o non eseguibile per il rifiuto del paziente o per la presenza di controindicazioni al suo svolgimento (ad esempio nei cardiopatici e nei bronchitici cronici). A causa della necessità di insufflare aria nel colon, la colonscopia virtuale rimane comunque controindicata, al pari della tradizionale, in presenza di diverticolite acuta, megacolon tossico e a recenti interventi chirurgici in questo tratto di intestino.Nonostante la dose di raggi X somministrata al paziente sia molto bassa, la colonscopia non deve essere eseguita in gravidanza. Il principale limite o svantaggio della colonscopia virtuale rispetto alla tradizionale rimane l’impossibiltà di intervenire durante l’esame stesso per eseguire piccoli prelievi bioptici o per asportare un polipo anomalo.Purtroppo nelle situazioni in cui la colonscopia individua delle anomalie, tali operazioni si rendono indispensabili ed il paziente dovrà sottoporsi, suo malgrado all’esame tradizionale. La preparazione per questa indagine è simile a quella utilizzata per la colonscopiua ottica tradizionale, anche se generalmente meno restrittiva”. 

In cosa consiste l’esame?

 “Il paziente che intende eseguire il test del sangue occulto nelle feci , deve raccogliere un campione fecale rispettando le indicazioni del centro di analisi, generalmente basate sui seguenti consigli:

  • Usare l’apposito contenitore sterile munito di cucchiaino interno;
  • Emettere le feci in un recipiente tipo vaso da notte, evitando di mescolarle con le urine, con l’acqua ded wc o con i suoi detergenti;
  • Raccogliere il campione con l’apposita spatolina in tre punti diversi delle feci, sino a riempire metà circa del recipiente in modo da ottenere un campione il piu’ omogeneo possibile;
  • Scrivere il nome sull’etichetta del sistema per la raccolta delle feci;
  • Portare il contenitore in laboratorio al piu’ presto, o in caso di raccolta di piu’ campioni, conservarlo in frigorifero;
  • Non eseguire il test durante il periodo mestruale, in presenza di emorroidi sanguinanti o se si perde sangue con le urine”.

Quanti giorni occorrono per conoscere l’esito?

 “Il referto del sangue occulto viene consegnato al paziente in giornata. L’analisi che si utilizza c/o Futura diagnostica utilizza un test immunologico a legame diretto per il rilevamento rapido e qualitativo del sangue occulto nelle feci. Il test del SOF adotta un metodo a sandwich immunocromatografico, che impiega due specifici anticorpi monoclonali per identificare selettivamente l’emoglobina nei campioni del test.La sensibilità è molto alta con la capacità di rilevare 50 ng/ml di emoglobina nelle feci”.

Parliamo del costo…

Per eseguire l’esame della ricerca del sangue occulto nelle feci, bastano pochi euro (all’incirca 3), anche per chi non ha esenzione medica, altrimenti  l’esame è prescrivibile dal MMG con cod. R 90214″.

Fonte: irpiniatimes